Ministro Salvini, disinneschi la violenza verbale
La tragica fine della giovanissima Desirée Mariottini, trovata morta il 19 ottobre in un casolare abbandonato nel quartiere di San Lorenzo a Roma, esige che venga fatta giustizia e che i colpevoli siano presto identificati e processati. Tuttavia riteniamo perverso ogni tentativo di strumentalizzazione della sua morte, in modo specifico per attaccare gli immigrati.
Per questo motivo ci sentiamo indignati e sgomenti per il linguaggio usato dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che con un tweet ha definito «verme», l’immigrato africano arrestato a Foggia il 26 ottobre scorso perché sospettato, con altri tre stranieri, di aver drogato, stuprato e ucciso la giovane Desirée Mariottini.
Reputiamo l’epiteto “verme” offensivo e denigratorio nei confronti della persona arrestata sulla quale si vuole insinuare che abbia una responsabilità criminale prima ancora di essere processata.
Inoltre, non si può negare che l’associare la parola verme a immigrato comporta il pericolo reale di fare emergere sentimenti di odio razziale e istigare atti di violenza verso gli stranieri nel nostro paese, in modo particolare verso gli africani.
Il brutale pestaggio a Brindisi, lo scorso 19 ottobre, di due immigrati africani per mano di due italiani è l’ennesimo episodio di una catena di atti di intolleranza e di violenza che sono andati moltiplicandosi negli ultimi tempi sull’onda di pronunciamenti xenofobi da parte di autorità civili ed esponenti della politica.
Condividiamo, pertanto, la preoccupazione di tanti fratelli e sorelle neri che nell’Italia di oggi si sentono più insicuri. In pubblico o per strada, temono che per il semplice fatto di avere la pelle scura possano diventare bersaglio di aggressioni razziste.
Chiediamo, quindi, al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di evitare nei suoi pronunciamenti parole che possano fomentare l’odio e la violenza razziale al fine di stemperare le tensioni sociali nel nostro paese e non aggravare la già difficile relazione tra italiani e la comunità immigrata.
I missionari comboniani in Italia