Il diritto europeo non autorizza un paese membro a collocare e gestire uno proprio Cpr al di fuori del territorio dell’Ue. Gli stranieri trattenuti devono poter incontrare familiari, avvocati, autorità consolari, ong. I parlamentari come il garante dei detenuti, devono poter effettuare visite ispettive.
La modifica della legge 14/24 di ratifica del Protocollo tra Italia e Albania stravolge del tutto l’originaria finalità del Protocollo, prevedendo che non siano portate in Albania solo persone soccorse in acque internazionali. Il nuovo decreto varato ieri dal governo introduce la possibilità di utilizzare la struttura del centro di Gjader, come un qualsiasi altro Cpr italiano trasportandovi stranieri che nulla hanno a che fare con le operazioni di soccorso in mare ma si trovano in Italia e il cui trattenimento era già in atto.
Il Governo afferma che non è necessario modificare il Protocollo tra Italia ed Albania ma ciò equivale a rivendicare una sorta di truffa delle etichette dal momento che le finalità del Protocollo vengono profondamente modificate. Il dibattito parlamentare dovrà tenere in massimo conto tale distorsione. Può uno Stato membro dell’Unione Europea collocare uno straniero di cui è stata già decisa l’espulsione coattiva da attuarsi attraverso il trattenimento amministrativo in una struttura ubicata fuori dal proprio territorio, in un paese terzo, assicurando comunque il rispetto delle procedure e degli standard previsti dal diritto europeo sugli allontanamenti forzati? Può quindi decidere di aprire una tale tipologia di centro oggi in Albania e domani magari altrove, ad esempio nello Zimbabwe, o in Nuova Guinea, o magari negli USA? Sono queste in fondo le domande cui va data una risposta per valutare la legittimità o meno della decisione assunta dal Governo italiano.